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Sicurezza sul lavoro

Articolo tratto da Quattromura del 14/07/2001

Una delle voci che maggiormente incidono sui costi del lavoro è quello relativo alla sicurezza sul lavoro. Un settore che recentemente ha visto un incremento degli infortuni tra i propri addetti è quello relativo alla manutenzione degli ascensori. Le mansioni da svolgere si riferiscono per lo più alla verifica e riparazione degli organi meccanici, degli impianti elettrici, oppure alla lubrificazione degli organi di trasmissione.

I relativi incidenti possono riguardare cadute da luoghi elevati, infortuni da elementi in movimento, folgorazione, esposizioni a oli minerali. Da alcune riviste specializzate è stato evidenziato di come la normativa vigente in materia di costruzione degli ascensori si limiti a garantire la sicurezza degli utenti degli impianti tralasciando, invece, la prevenzione degli infortuni relativamente alle operazioni di manutenzione.

Per modificare in tal senso la normativa è stato creato un coordinamento fra i Consigli di Fabbrica delle maggiori aziende del settore al fine di esaminare tutte le possibili soluzioni. Relativamente agli adempimenti a carico degli amministratori di condominio e dei proprietari, invece, bisogna far riferimento al d.P.R. 30/4/99 n° 162 recante le norme d’attuazione della direttiva 95/16/CE.

Preliminarmente vengono definiti gli enti titolari: Comune, per la comunicazione di messa in esercizio; Asl e Ispesl per le verifiche; Prefettura, per il rilascio di certificati di abilitazione alle manutenzioni. All’installatore dell’impianto viene demandato il compito di marcatura CE dell’impianto e la redazione della dichiarazione CE di conformità. Dopo questa fase l’impianto può essere commercializzato, previa la comunicazione della messa in esercizio dell’impianto al Comune competente.

Una volta messi in esercizio, gli impianti necessitano di verifiche periodiche con cadenza biennale da parte dei tecnici di Asl ed Ispesl. Per evitare spiacevoli inconvenienti, l’impianto deve essere sottoposto a manutenzioni periodiche da parte di ditte specializzate che, eseguite le riparazioni del caso, annoteranno sull’apposito libretto dell’impianto i risultati degli interventi.

Mariano Russo

 

Sicurezza Impianti

Articolo tratto da Quattromura del 31/08/2001

Lo scorso mese di giugno si è tenuto un convegno a Ferrara relativo alla sicurezza degli impianti condominiali. In generale la materia è disciplinata dalla legge n° 46 del 1990 e dal relativo regolamento d’attuazione, il DPR n° 447 del 1991 che definiscono i relativi diritti, obblighi e responsabilità dell’amministratore di condominio al pari del proprietario unico dell’immobile.

Gli esperti che hanno partecipato al forum hanno ribadito l’obbligo a carico dell’amministratore di adeguare gli impianti alle normative vigenti, di curare la manutenzione degli stessi intervenendo autonomamente in caso di necessità o previo parere dell’assemblea qualora l’intervento non rivesta il carattere dell’urgenza. L’amministratore, tra l’altro, in caso di negligenza nella verifica dello stato di conservazione degli impianti con conseguente danno arrecato a terzi, risponderà penalmente in proprio, ai sensi dell’art. 40 del codice penale, mentre civilmente saranno chiamati in causa tutti i condomini.

Precisiamo che da un punto di vista penale il non aver adempiuto a quanto necessario per evitare un danno equivale all’averlo causato. Al di là della normativa generale, il convegno ha sottolineato l’importanza della normativa specifica per alcuni impianti: il DPR 162/99 relativo all’obbligo delle verifiche biennali di ascensori e montacarichi da parte di tecnico abilitato; il DPR 551/99 che obbliga alla verifica periodica degli impianti termici; il punto 94 del DM del 16/2/82, relativo agli impianti antincendio, che obbliga al controllo per la prevenzione incendi per gli edifici con altezza di gronda superiore a 24 metri.

Mariano Russo

Responsabilità Amministratore

Articolo tratto da Quattromura del 30/06/2001

Nelle ultime settimane il quartiere dell’Arenella è stato palcoscenico di due tragici eventi legati all’esecuzione di lavori di ristrutturazione edilizie: prima, in un edificio in via Domenico Fontana, un giovane operaio ha perso la vita scivolando dal ponteggio mobile dal quale stava effettuando il ripristino dell’intonaco del cornicione del fabbricato; poi, alle spalle di piazza Arenella, è crollata un’ala di un fabbricato in cemento armato a seguito del cedimento di due pilastri provocato, probabilmente, a causa dell’ampliamento dei locali box sottostanti il fabbricato.

Fortunatamente in quest’ultimo caso non ci sono state vittime grazie all’intervento immediato dei Vigili del Fuoco che hanno fatto evacuare il fabbricato prima del crollo. Ma vediamo in che modo sono chiamati a rispondere sia i condomini che l’amministratore nel caso si verifichino incidenti simili. Iniziamo col dire che la normativa dell’ultimo decennio ha in parte colmato le lacune del settore. Infatti con la legge 46/90, il cui D.L. 429/93 di proroga al decreto di attuazione prevede espressamente delle sanzioni a carico degli amministratori, con il D.Lvo 626/94, con la Circolare 154/96, e soprattutto con il D.L.vo 494/96 sono state definite le relative responsabilità.

Il principio generale della normativa citata è quello di sensibilizzare l’amministratore affinché controlli che non si verifichino danni ai lavoratori che prestano servizio presso il condominio, come ad esempio il portiere, e/o a qualsiasi altra persona, residente o non nel fabbricato, che frequenti l’edificio. Parte della dottrina vede una serie di responsabilità in capo all’amministratore in quanto rappresentante del fabbricato e quindi diretto destinatario delle norme antinfortunistiche sul lavoro.

Altri, invece, non accettano tale principio ma considerano l’amministratore comunque il custode della sicurezza ai sensi dell’art. 40 del codice penale che dispone, infatti, che non impedire il verificarsi di un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. Tra l’altro tale obbligo insiste sull’amministratore anche in caso di opposizione del condominio.

Infatti, anche in presenza di una delibera assembleare che vieti all’amministratore di operare secondo legge, come ad esempio l’adeguamento degli impianti alle normative vigenti oppure la spicconatura delle parti pericolanti del cornicione, lo stesso ha comunque l’obbligo provvedere d’ufficio oppure, in alternativa, quello di rassegnare le dimissioni.

In quest’ultimo caso, una volta l’amministratore dimostri di aver fatto il possibile per adeguarsi alla normativa e soprattutto di avere messo a conoscenza tutti della condizione di pericolo esistente, risultano responsabili i condomini che non hanno gli hanno permesso di operare.

Mariano Russo

Radon

Articolo tratto da Quattromura del 24/03/2001

Il Radon e’ un gas radioattivo inodore ed incolore che e’ stato rinvenuto in molte abitazioni in numerose regioni d’Italia. Esso proviene dal decadimento radioattivo dell’uranio presente nel suolo e nell’acqua ed attraverso l’aria che respiriamo si fissa nei polmoni. Tipicamente il Radon esala dal suolo e penetra nelle abitazioni attraverso le microfratture presenti nella muratura e nelle fondazioni.

Ogni abitazione puo’ avere problemi di Radon. Tutte le maggiori organizzazioni di salute pubblica auspicano un controllo del livello di Radon in ciascuna abitazione dal momento che indagini su larga scala se anche consentono di individuare un trend non forniscono indicazioni di dettaglio necessarie a programmare interventi strutturali di riduzione della concentrazione.

Alcuni studi nell’ultimo decennio hanno dimostrato che l’inalazione di radon ad alte concentrazioni aumenta di molto il rischio di tumore polmonare. I risultati di tali studi supportano l’opinione che, in alcune regioni europee ed in USA, il radon e’ la seconda causa, in ordine di importanza dopo il fumo, del cancro ai polmoni. Allo stato attuale di conoscenza si hanno gli strumenti ed i mezzi per contrastare il Rischio Radon.

Le autorità locali possono e devono ricoprire un ruolo essenziale. In questa sede si possono indicare tre approcci fondamentali:

  1. Migliorare la conoscenza della situazione del luogo riguardo i rischi legati alla presenza di radon;
  2. fornire informazioni alla gente;
  3. incentivare economicamente le azioni di mitigazione, non appena il rischio sia stato identificato. I primi passi in questa direzione si sono mossi, verso la metà del Novecento con le misurazioni di radon effettuate in diverse abitazioni svedesi nel 1956.

L’alto livello di radon rilevato in alcune case riscosse poco interesse in campo internazionale, perché il problema fu considerato esclusivamente locale. Soltanto 20 anni dopo si iniziarono studi sistematici su larga scala in numerose nazioni, che mostrarono che l’esposizione era generale e si potevano raggiungere livelli molto alti di concentrazione.

La Commissione Internazionale per la Protezione Radiologica (ICRP) sottolineò la vastità del problema per la salute pubblica e formulò specifiche raccomandazioni nella pubblicazione numero 65 del 1993.

L’ipotesi di un legame tra alte concentrazioni di radon e cancro ai polmoni fu messa in primo piano molto presto nel ventesimo secolo. La dimostrazione scientifica di questo legame è molto recente ma definitiva. Le autorità locali, sostenute dalle autorità responsabili della salute pubblica, devono, anche ai sensi del recente disposto legislativo (dlgs 241/2000) valutare l’entità del problema alla luce dell’architettura locale e delle condizioni geologiche ed aiutare a realizzare misure di prevenzione atte alla riduzione del rischio.

Abbiamo chiesto all’Ing. Stefano Del Gaudio, esperto di bioingegneria, cosa fare se si pensa di acquistare/vendere una abitazione: “è consigliabile per chi intende acquistare un appartamento richiedere al venditore un certificato di analisi relativo alla presenza di radon. Il test diviene forse necessario per gli immobili situati ai piani bassi essendo questi più a rischio”. Come si misura il Radon? “Poiché il radon e’ un gas incolore ed inodore, i suoi effetti non sono direttamente avvertibili dai sensi dell’uomo.

Oggi e’ possibile però risalire alla presenza di Radon principalmente con due tipi di dispositivi: Rivelatori Passivi e Rivelatori Attivi. I primi sono costituiti da pellicole sensibili alla radiazione Alfa che si perforano quando colpite dalla radiazione. Il numero dei fori presenti sulla pellicola in funzione della superficie esposta e del periodo di esposizione forniscono una buona indicazione della concentrazione di Radon nell’ambiente ad un prezzo accessibile a tutti.

I secondi sono costituiti da una pompa aspirante che convoglia l’aria su un particolare sensore Geiger sensibile prevalentemente alla radiazione alfa. I risultati sono piu’ attendibili ma il costo per l’analisi e’ piu’ elevato.

Come possono essere ridotti i livelli di concentrazione? “Elevati livelli di concentrazione possono essere ridotti con opportune modifiche strutturali dell’edificio. In Italia queste tecniche sono ancora pressocche’ sconosciute ma non tarderanno ad essere utilizzate per la sempre maggiore attenzione che si presta nella realizzazione di edifici Bio-Compatibili. In linea di principio le tecniche di riduzione si basano sulla ventilazione ed aspirazione naturale o forzata in funzione della tipologia costruttiva e delle caratteristiche geologiche dei suoli di fondazione”.

Mariano Russo

 

Materiali Tossici

Articolo tratto da Quattromura del 17/03/2001

Dal 1998 ad oggi, grazie alle detrazioni fiscali previste per i lavori di manutenzione straordinaria nell’edilizia privata, molti proprietari di immobili hanno provveduto a ristrutturare parzialmente o totalmente le loro proprietà.

Per quanto riguarda le opere eseguite in ambito condominiale, esse sono consistite principalmente nel rifacimento delle facciate, ma non solo. Infatti, molti condominii, approfittando della presenza nel fabbricato di imprese edili con relative impalcature per la ristrutturazione della facciata, hanno affrontato anche il problema della presenza di amianto nella struttura.

Ricordiamo che per circa quarant’anni nell’edilizia c’è stata una larga applicazione di fibre minerali naturali quali per l’appunto l’amianto e dei suoi corrispondenti materiali sintetici come la lana di vetro e di roccia. La diffusione di questi materiali trova spiegazione nelle eccellenti proprietà di resistenza al fuoco, al calore ed all’attacco chimico applicate come materiale di finitura antifiamma ed antiriflesso acustico, come isolante termico e come componente per la produzione di pavimenti.

Purtroppo, però, all’epoca non erano ancora noti gli effetti nocivi che questi materiali avrebbero procurato all’uomo. A tal proposito, alla fine degli anni Ottanta ha preso vita un forte processo di riqualificazione ambientale culminato poi con la Legge 257 del 26 marzo 1992 e relativi Decreti d’attuazione con i quali si è riconosciuto il rischio derivato dalla presenza dell’amianto nel contesto urbano ed ambientale.

In particolare, l’art. 3 del Decreto del Ministero della Sanità del 6/9/94 (Normative e metodologie tecniche … relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto) definisce i relativi metodi di bonifica: a) rimozione dei materiali di amianto; b) incapsulamento; c) confinamento; d) indicazioni per la scelta del metodo di bonifica. Il Decreto in questione, pertanto, stabilisce anche in quali casi è opportuno adottare un metodo piuttosto che un altro.

Nei condominii gl’interventi più diffusi si riferiscono per lo più all’eliminazione delle tubazioni dell’impianto di riscaldamento centralizzato in disuso ed al ripristino dell’integrità delle lastre ondulate utilizzate comunemente per tettoie e coperture. Nel primo caso si provvede alla rimozione dei materiali nocivi in discariche speciali mediante l’intervento di ditte autorizzate. Questo intervento è l’unico che elimina ogni potenziale fonte di esposizione ma comporta elevati rischi di contaminazione per i lavoratori addetti alla rimozione e per l’ambiente circostante durante il trasporto.

Nel secondo caso, invece, si preferisce la tecnica del confinamento che consiste nell’installazione di una barriera a tenuta che separi l’amianto dalle aree occupate dell’edificio, ovvero la creazione di una nuova copertura posata al di sopra della vecchia al fine di eliminare il rischio causato dal rilascio di fibre di amianto ed a ripristinare la funzionalità del tetto. Tale intervento necessità però di continue verifiche essendo sempre presente l’amianto.

In definitiva conforta il numero sempre crescente di fabbricati che stanno affrontando in maniera concreta il problema dell’amianto: il rischio che si corre, però, è il coinvolgimento di ditte non autorizzate e il deposito dei materiali in discariche non specializzate. Finora sembra che la questione non sia stata sottovalutata e la speranza è quella di vedere una continua crescita in questa direzione.

Mariano Russo

 

Libretto Casa

Articolo tratto da Quattromura del 05/05/2001

Prende voce il coro dei NO all’istituzione del cosiddetto “libretto casa”. Infatti, dopo la Confedilizia, il sindacato dei proprietari di immobili, che attraverso la sua rivista periodica e per mezzo del suo Presidente, Corrado Sforza Fogliani, ha adoperato parole dure contro questo che viene ritenuto “l’ennesimo balzello a danno della proprietà immobiliare”, anche l’APPC, Associazione piccoli proprietari di case, ha espresso il proprio parere negativo in merito.

Di contro, con motivazioni sempre più convincenti, si rafforza il partito dei SI’, composto principalmente da Sunia, Anaci, Arpe, Anami, Anaip e Consulta nazionale casa. Nel corso di un convegno tenutosi di recente a Roma, tutte le citate associazioni hanno votato all’unanimità un ordine del giorno indirizzato al Presidente del Senato per sollecitare l’approvazione della proposta di legge sui palazzi a rischio che dallo scorso novembre giace in Parlamento.

La Confedilizia ha commentato in maniera spregiativa tale iniziativa considerando “incredibile” che anche una Associazione dei proprietari possa essere concorde all’istituzione del Fascicolo del fabbricato. Per comprendere meglio la portata delle critiche mosse dalla Confedilizia teniamo presente che tale associazione è stata capace di affossare il disegno di legge che prevedeva novità in merito ed ha provveduto al ricorso contro l’ordinanza del Sindaco di Lecce che obbligava ad eseguire una serie di controlli generici sugli immobili, poi bocciata dal Tar.

Da tempo viene affermato che è il principio che non regge: con questo indirizzo, sempre secondo la Confedilizia, l’unico risultato che si otterrà sarà quello “di fornire lavoro a professionisti senza lavoro e costruttori senza committenti”; tale iniziativa costituisce “solo un’ulteriore tassa in danno della proprietà immobiliare che negli ultimi vent’anni ha subito un incremento fiscale pari al 1000%”.

“Con tutte le imposizioni fiscali richieste, il proprietario immobiliare non dovrebbe essere già garantito per i controlli che si vuole introdurre”, si domanda l’Associazione? A tutte queste motivazioni, però, non è stata fornita una spiegazione né una risposta. Tra l’altro in nessun contesto è stato richiesto il parere dei cittadini che, invece, attraverso le rubriche di vari quotidiani, stanno esprimendo parere negativo relativamente all’istituzione del Fascicolo del fabbricato. Su base nazionale, al momento, non esistono novità importanti in merito, mentre a livello locale, in particolare nella nostra città, se ne sta discutendo molto.

L’assessore Lepore, in carica fino a pochi giorni fa, si era impegnato personalmente, in caso di sua rinomina, a portare avanti la proposta di istituzione del Libretto per tutto il territorio del Centro storico. Non si sa chi ricoprirà l’incarico di Assessore all’Edilizia del Comune di Napoli dopo il 13 maggio: di sicuro, però, quello del fascicolo del fabbricato sarà uno degli argomenti più difficili da gestire, sia in caso di sua istituzione che in caso di bocciatura.

Mariano Russo

 

Legge 10/91

Articolo tratto da Quattromura del 28/07/2001

La legge 10/91, normativa in tema di risparmio energetico, prevede, in sede di delibera assembleare, la semplice maggioranza dei 501 millesimi, se non stabilito diversamente dal regolamento del condominio e se ciò non costituisce un aggravio dei consumi, per la trasformazione dell’impianto di riscaldamento da centralizzato ad autonomo.

Molti condomini, in virtù di tale normativa, hanno quindi adottato il sistema di riscaldamento unifamiliare, valutandone i vantaggi in termini economici ma soprattutto per quanto attiene alla gestione autonoma dell’impianto. Molto spesso, però, tale trasformazione non è stata attuata a causa dell’opposizione di alcuni condomini che hanno imposto, in caso di trasformazione dell’impianto, l’installazione di una canna fumaria collettiva per la raccolta dei fumi di tutte le caldaie individuali.

In realtà tale opposizione è garantita dalla normativa vigente, in particolare le norme UNI 10640 e 10641 che vanno ad interessare i circa 8,6 milioni di impianti autonomi installati nel nostro paese. Il principio della normativa citata si basa sull’incremento della standard di sicurezza dell’impiantistica esistente e da installare. Infatti recenti studi hanno dimostrato che la causa principale degli incidenti alle caldaie risiede proprio nel cattivo funzionamento dello scarico della combustione.

In particolare si può avere: occlusione totale o parziale degli scarichi; mancato adeguamento dimensionale o eccessiva lunghezza delle condotte. Le caldaie da collegare alla stessa canna fumaria devono essere dello stesso tipo e con potenza che non può variare oltre il 30%. Inoltre il numero massimo di caldaie collegate non può superare le 8 unità, una per piano.

La normativa esistente per l’impiantistica in genere ed in particolare per quella relativa alle caldaie, quindi la L. 10/91, il Dpr 412/93 e la L. 46/90, prevedono l’obbligo di progettazione degli impianti in questione da parte di professionisti abilitati, il deposito del progetto presso gli uffici comunali e, infine, l’attestazione delle conformità alle normative UNI 10640 e 10641.

Laddove esistano, invece, già delle caldaie autonome con relative tubazioni di scarico, l’adeguamento è previsto dalla norma UNI 10845 che dà indicazioni sugli interventi da adottare.

Mariano Russo

Lastrici Solari

Articolo tratto da Quattromura del 12/05/2001

Una delle problematiche più diffuse negli ambiti condominiali riguarda le infiltrazioni di acqua piovana dovute alla cattiva impermeabilizzazione dei lastrici solari. In alcuni casi trattasi di coperture pavimentate di proprietà esclusiva dei condomini degli ultimi piani, in altre invece la copertura è di pertinenza dell’intero fabbricato.

Nel primo caso le relative spese di manutenzione, a norma dell’art. 1126 del c.c., vengono ripartite per un terzo a carico dei chi ne ha l’uso esclusivo e per i due terzi a carico di tutti i condomini del fabbricato o della parte di questo a cui il lastrico solare serve . Nei casi in cui la copertura è di proprietà comune a tutti i condomini, invece, le spese per il ripristino dell’impermeabilizzazione vengono ripartite tra tutti i condomini sulla base della tabella generale della proprietà o, in sua assenza, in base al numero dei vani.

Recentemente, soprattutto quando esistono delle proprietà esclusive, si sta diffondendo l’utilizzo di pannelli termici in poliuretano espanso ad ulteriore protezione delle abitazioni sottostanti. Il problema che sorge è quello della ripartizione delle relative spese.

Infatti mentre si discute se trattasi di materia condominiale ordinaria, e quindi approvabile con una maggioranza semplice, oppure di un’innovazione, per la cui approvazione è quindi necessaria una maggioranza assembleare di 2/3 del valore del fabbricato a norma del 5° comma dell’art. 1136 del c.c., alcuni amministratori di condominio considerano tali interventi di competenza dei condomini proprietari sottostanti essendo questi gli unici ad essere avvantaggiati da tale opere.

E’ bene chiarire che esistono diverse contestazioni a tale criterio: innanzi tutto tale intervento è previsto dalla normativa vigente in tema di risparmio energetico, vedi legge 10/91 ed altre, per cui trattasi di imposizioni a carico del condominio non essendo definito l’addebito al singolo condomino; in secondo luogo, la migliore condizione abitativa dell’appartamento dell’ultimo piano dovuta all’utilizzo dei pannelli termici si traduce indirettamente in un vantaggio per tutto il condominio che per un tempo maggiore non verrà chiamato a risarcimenti per danni da infiltrazioni.

Rispetto a qualche anno fa i costi per la manutenzione di un lastrico di copertura sono incrementati in maniera esponenziale per una serie di motivi: in primo luogo i materiali adoperati oggi hanno un resa di gran lunga superiore rispetto a quelli del passato, come il poliuretano espanso oppure le stesse guaine impermeabilizzanti; in secondo luogo si tende ad effettuare interventi radicali rispetto agli innumerevoli rappezzi eseguiti in precedenza; infine sta nascendo una nuova cultura nella piccola edilizia condominiale che impone la presenza di ditta specializzate che fatturano i lavori eseguiti con la relativa assunzione di responsabilità decennale che sta finalmente soppiantando quell’abitudine prevalentemente meridionale che affidava a ditte di fortuna i lavori di manutenzione.

Mariano Russo

 

Inquinamento Domestico

Articolo tratto da Quattromura del 28/04/2001

Gli abitanti delle grandi città vivono in maniera molto attenta il problema dell’inquinamento. Molto spesso, però, ci si riferisce solo all’inquinamento presente nell’aria dovuto prevalentemente ai fumi degli scarichi delle autovetture oppure ai residui di industrie e fabbriche.

Di recente, invece, si sta prestando attenzione anche al cosiddetto “inquinamento domestico”. Con tale espressione si vuole identificare quell’insieme di sostanze più o meno tossiche cui l’uomo viene a contatto durante le tradizionali attività esercitate all’interno della propria abitazione. Ma vediamo in concreto di cosa si tratta. Iniziamo col dire che il tipo di inquinamento dipende dall’attività esercita dall’essere umano e quindi ogni locale avrà un suo particolare problema.

Infatti, mentre in cucina si devono affrontare i residui della combustione dovuti all’utilizzo di impianti a gas, nel bagno, visto l’alto utilizzo di materiali pulenti, si respirano alte percentuali di polveri e composti organici. Così di seguito costituiscono motivo di potenziale inquinamento il televisore, per le emissioni elettromagnetiche, il climatizzatore, perché diffusore di batteri e funghi eventualmente accumulati, il camino per le varie esalazioni nocive.

Per chi ama il fai da te, e quindi predilige le attività svolte in cantina oppure nel box, esiste il rischio, vista la poca ventilazione del locale, di venire a contatto con sostanze tossiche derivanti da colle, vernici, solventi, oppure di inalare grandi quantità di radon che è molto presente, di solito, nei piani bassi degli edifici.

Per chi invece passa gran parte del proprio tempo nello studio, oltre alle emissioni elettromagnetiche del computer ed a quelle di mercurio rilasciate da stampanti e fotocopiatrici, si deve fare attenzione alla formaldeide, un gas composto di carbonio, idrogeno ed ossigeno che viene rilasciato prevalentemente dai pannelli di compensato e dai materiali con cui vengono composti i mobili moderni.

Quali sono i sintomi del “inquinamento domestico”? Solitamente, le conseguenze prodotte dalla cattiva qualità dell’aria in presenza delle emissioni innanzi descritte sono di tipo allergico con irritazione di naso gola ed occhi, oppure con conseguenze emicraniche, affaticamento e reazioni cutanee.

Come difesa alle emissioni nocive si può areare maggiormente i locali e posizionare i vari elettrodomestici ed accessori ad una distanza adeguata dai divani, dalle poltrone e dai letti.

Mariano Russo

Impianti Radiotelevisivi

Articolo tratto da Quattromura del 08/09/2001

In tema di telecomunicazioni riveste molta importanza la legge n° 66 del 20/3/01 di conversione del D.L. 23 gennaio 2001 n°5 recante disposizioni urgenti per il differimento dei termini in materia di trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali, nonché per il risanamento di impianti radiotelevisivi.

Questa legge contiene all’art.2 bis comma 13, la seguente disposizione: ” Al fine di favorire lo sviluppo e la diffusione delle nuove tecnologie di radiodiffusione da satellite, le opere di installazione di nuovi impianti sono innovazioni necessarie ai sensi dell’art. 1120, primo comma, del codice civile.

Per l’approvazione delle relative deliberazioni si applica l’art. 1136, terzo comma, dello stesso codice. Le disposizioni di cui ai precedenti periodi non costituiscono titolo per il riconoscimento dei benefici fiscali”.

Vediamo quindi come è cambiata la materia rispetto al passato. Prima dell’entrata in vigore della legge n° 66/01, l’installazione di un impianto satellitare centralizzato in presenza di sole antenne singole, costituiva una miglioria e quindi comportava, in seconda convocazione, una delibera con una maggioranza dei partecipanti al condominio che rappresentasse almeno i due terzi del valore del fabbricato.

Grazie alla nuova normativa, invece, sarà possibile deliberare l’installazione di un impianto satellitare centralizzato, indipendentemente dalla presenza nell’edificio di un impianto televisivo centralizzato, sia in prima che in seconda convocazione, con un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio ed il terzo del valore del fabbricato. Le relative spese di installazione saranno ripartite tra tutti i condomini, compreso i dissenzienti.

Non può, comunque, essere vietato ad un singolo di installare un impianto autonomo, a meno che, come chiarito in più occasioni dalla Cassazione, tale intervento non arrechi pregiudizio alle parti comuni del fabbricato oppure venga pregiudicata la possibilità di installazione ad altri condomini.

Infine è bene ricordare che, sebbene l’art 1123 c.c. preveda la ripartizione su base millesimale, la prassi vuole che tale tipologia di spesa venga ripartita in parti uguali.

Mariano Russo